Nel 1986 Isaac Asimov, che oltre a essere un grande scrittore aveva anche una incredibile visione del futuro, inserì alcune righe che oggi suonano come profetiche nel suo romanzo “Fondazione e Terra”.

«Pelorat aveva in mano la sua biblioteca (il minidisco in cui era racchiusa una vita di ricerche sui miti e le leggende) e si ritirò in camera, dove teneva il suo piccolo lettore.»

Forse Asimov, all’epoca, non aveva idea di quanto si sarebbe rivelata reale tale geniale intuizione: oggi, volendo, è possibile girare con una piccola biblioteca in tasca proprio come la descrive Asimov nel suo romanzo. Questo, come molti prevedono, porterà ad un mondo futuro dove tutte le informazioni verranno completamente digitalizzate e le “scartoffie” scompariranno? Di getto verrebbe da rispondere di sì, ma ne siamo sicuri? Forse abbiamo fatto i conti senza l’oste e in questo caso l’oste ha un nome di quelli che mettono i brividi: Haker. Ecco i cinque tra gli attacchi Haker più famosi della storia.

L’attacco a Google China

Nel 2009, un gruppo di Haker prese di mira Google China, riuscendo a penetrare all’interno dei server americani. Questi pirati informatici, utilizzando molteplici worm, riuscirono a scardinare i sistemi di sicurezza appropriandosi di una serie di informazioni riservate. In particolare, Google si accorse che erano stati compromessi gli account Gmail di molti attivisti americani, europei e cinesi impegnati nella difesa dei diritti umani nel Paese asiatico. Un’offensiva che secondo molti esperti era stata progettata direttamente dal governo di Pechino.
L’offensiva nucleare di Stuxnet
Uno degli attacchi più pericolosi colpì le centrali nucleari iraniane. Dal 2006 al 2010, Israele e Stati Uniti lanciarono un worm conosciuto con il nome di Stuxnet, che durante questi anni prese di mira la centrale di Natanz, in Iran. Prima che venisse scoperto, la funzione principale del malware era quella di aumentare la velocità delle turbine dell’impianto, inducendole al collasso.

Il cyber attacco a PlayStation

Nel 2011 si verificò un’aggressiva violazione che colpì gli utenti della console per videogame di Sony. Nello specifico, i criminali informatici “bucarono” il PlayStation Network, un sistema che permette agli iscritti di giocare online, appropriandosi dei dati di circa 77 milioni di utenti, tra cui password di carte di credito, che vennero messi a serio rischio da questa violazione. Come conseguenza, Sony fu costretta a sospendere temporaneamente i server, invitando gli iscritti a modificare i propri dati di accesso.
Spamhaus

Avvenuto nel 2013 è stato considerato uno degli più grandi di sempre. L’obiettivo fu Spamhaus, organizzazione internazionale basata tra Londra e Ginevra che offre strumenti anti-spam, cioè ci aiuta a liberarci da tutta quella pubblicità molesta e indesiderata. Gli Hacker riuscirono a ingolfare le risorse del loro sistema informatico prendendo di mira i server, reti di distribuzione e data center inondandoli di false richieste di accesso, a cui non riuscirono a far fronte.

Russia vs USA

E qui siamo alla fantapolitica che diviene realtà. Grazie ad attacchi hacker i russi pare siano riusciti a influenzare le elezioni americane, agendo direttamente sull’opinione pubblica attraverso fake news, violazione dei sistemi e veri e propri sabotaggi informatici. E in questo quadro a dir poco nefasto pensate che una super potenza come la Cina se ne stia a guardare con le mani in mano? Non credo proprio.
Perché racconto tutto questo? Perché è evidente che le intelligence di tutti i paesi (Cia, Fbi, M6, ex KGB, per fare qualche esempio famoso) siano consapevoli che nessun “luogo digitale” è sicuro. La soluzione? Tornare ad archiviare alla vecchia maniera, proprio come amava fare quella vecchia volpe di John Edgar Hoover, capo indiscusso e intoccabile dell’Fbi che tenne in scacco, grazie ai suoi famigerati archivi (cartacei), praticamente ogni cittadino americano, presidenti degli Stati Uniti compresi. Con buona pace degli hacker di tutto il mondo.

Giovanni Scafoglio

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Giulia ama i libri: i libri stampati e i fumetti. Le piace il loro odore.

Adora prendere appunti sui margini, sottolineare con colori diversi le frasi più belle o che l’hanno colpita e ha il brutto vizio di piegare un angolo della pagina per tenere il segno. Le piace farlo, lo sente vissuto.

Vittoria non è una pensionata che vive di ricordi o grazie a qualche tomo trovato in qualche polverosa libreria.

No! Ha meno di vent’anni, va all’università ed è l’ennesima testimonianza di una tendenza ironica di quest’epoca “internettiana”: lei è una “nativa digitale” e come molte sue coetanee preferisce leggere i libri, sfogliare riviste e conservare volantini e dépliant stampati sulla carta.

Le piace la sensazione, mentre legge alla luce del sole nelle pause all’università, certo, con lo smartphone a portata di mano. Ma ama il suo libro perché è piacevole da tenere tra le mani e poi non emette suoni e non si scarica.

Chi lavora in una casa editrice, i proprietari delle librerie e i sondaggi sugli studenti universitari testimoniano che molti ventenni preferiscono ancora la stampa per le letture di piacere e lo studio, per non parlare dei fumetti, un fenomeno che sta riesplodendo in Italia soprattutto grazie alle ragazze che dopo averli snobbati per decenni ora stanno scoprendo il gusto della “letteratura disegnata”. Una Tendenza che lascia sbigottito chi fa ricerca sul modo in cui leggiamo, vista la tendenza dello stesso gruppo d’età a consumare gran parte dei contenuti su digitale.

Ho fatto diverse ricerche in merito e ho scoperto che i nativo digitali che non dovrebbero neanche sapere come è fatto un libro, trovano più facile concentrarsi leggendo su carta che su digitale come dimostrano diversi studi scientifici effettuate da svariate università statunitensi ed Europee.

Negli States e in Inghilterra dove i libri didattici in digitale sono molto più diffusi che qui da noi, gli studi evidenziano che le persone che leggono di più su carta sono i 18-29enni, che sono anche quelli che più utilizzano le biblioteche pubbliche. Eppure sempre negli States, le case editrici che stampano libri di testo universitari stanno promuovendo la diffusione delle versioni digitali, poiché risultano più redditizie in quanto produrli costa molto meno.

Per adesso è una battaglia che non hanno ancora vinto e basta fare un giro in un Campus unversitario per notare che la maggior parte dei ragazzi gira ancora con zaini strapieni di libri. I ricercatori sostengono che un lettore ricorda più facilmente le cose che ha letto quando l’associa a una certa posizione in una certa pagina.

La memoria scorre via velocemente e ricorda che quella particolare notizia si trovava all’inizio di quella pagina con quel lungo paragrafo e con una piega nell’angolo e pare che questo meccanismo sia fondamentale per la corretta comprensione di un testo. Un meccanismo del genere sullo schermo è inimmaginabile e siamo automaticamente portati, mentre scorriamo con il dito lo schermo digitale a prendere appunti mentali.

Una mia considerazione finale, molto personale, mi porta a credere che le nostre vite, in particolar modo quelle dei ventenni, sono vissute in larga parte davanti a un monitor, davanti a schermi in un continuo corpo a corpo tra quello che cerchiamo su quello schermo e le distrazioni che quello stesso schermo ci fornisce, tra notifiche, pubblicità e app. Staccare letteralmente la spina e dedicarsi off line a sé stessi.

Del resto non è forse vero quel detto che recita che, di tanto in tanto, è bene staccare la spina?

Giovanni Scafoglio

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